Banksy a Milano

[New edit on 8th January 2019]

A Milano è partita il 21.11 al MUDEC (Museo delle Culture) la mostra ‘non autorizzata’ su Banksy, andrà avanti fino a metà aprile ed è già un piccolo caso cittadino. Il bagno di folla quotidiano fa parte della celebrazione collettiva che sta decollando, per cui tutto l’interesse, la passione, anche solo la curiosità per l’Artista Senza Nome sono palpabili e totalmente condivisi: direi che alla fine sono il succo della mostra.

Come tutte le esposizioni del Mudec è molto raccolta, e forse il Mudec è davvero un antimuseo, come qualcuno sostiene: l’evento è il museo e non più le opere che espone. L’allestimento di Studio FM è più discreto di quanto mi aspettassi, bello ma un po’ sottotono rispetto al clamore suscitato da questa mostra. Le sezioni sono (solo) cinque, la selezione dei lavori (copie, naturalmente) è di conseguenza risicata, ma ha almeno il grande merito di escludere le opere staccate da muro o altri scempi di mercato conosciuti. In questo senso è molto rispettosa.

La volontà di raccontare l’artista inquadrandolo nella prospettiva dell’arte di protesta, a partire dal maggio francese del ’68, con puntelli al contesto della street art & graffiti, rende omaggio agli intenti di Banksy ma ha la rigidità dell’approccio storico. Come il parallelo col movimento situazionista o gli attenti accostamenti alla pop art warholiana e non. Tutto corretto, certo, anche apprezzabile, ma confesso di averlo sentito così stonato rispetto a questo particolare artista.

Il pezzo che ho trovato più interessante alla fine è il video della storica dell’arte che racconta (con amore) alcune tappe emblematiche del lavoro di Banksy, tra cui l’hackeraggio del City Museum di Bristol* (la sua città natale) e il colpaccio dell’Ambasciata, cioè la Colette dei Miserabili apparsa lo scorso anno sul muro dell’Ambasciata francese a Londra, per protestare contro le violenze della polizia francese sui migranti accampati a Calais.

Nessuna attenzione particolare per il folle mercato dei lavori di Banksy, questo meraviglioso paradosso per cui l’artista non può rivendicare altro che la proprietà intellettuale delle sue opere, prodotti non autorizzati e illegali, che però sono venduti e rivenduti alle sue spalle. Una grande cura invece nelle visite guidate, pensate giustamente come valore aggiunto all’impianto espositivo.

A tirare un po’ le somme, è un’esposizione molto onesta, eppure non sono riuscita a non domandarmi se questa fosse la formula più azzeccata a raccontare proprio Banksy. Soprattutto in considerazione della dimensione contenuta della mostra, avrei gioito con un’idea che provasse a coglierne lo spirito ribelle, un détournement (per stare nel situazionismo), anche a costo di rischiare delusioni, una provocazione per creare coinvolgimento. Seguire l’ispirazione per un dialogo, per non farsi sfuggire l’occasione di agganciare il visitatore, modulando il tono per portare la sua sintonia sulla sensibilità dell’artista: non è questo il senso di ogni mostra?

Per quel che vale, a me sarebbe piaciuto vedere più interviste con curatori, artisti e gente comune – quelli che mettono i murales di Banksy sotto teca plexiglass per proteggerli dagli sciacalli, a loro spese. In quei racconti la sua figura “prende corpo” dalle parole altrui, e trattandosi dell’artista senza corpo più ricercato dei nostri tempi, il resoconto funziona in pieno e la fascinazione è forte. Ma niente, ci dobbiamo “accontentare” della lettura inappuntabile di Gianni Mercurio (che apprezzo maggiormente negli scritti).

Il pezzo in mostra che forse mi è piaciuto di più, per la cronaca, è questo qui sotto. È arci noto ma tanti non sanno che si tratta di un autoritratto e fa riferimento a un momento anni ’90 in cui a Brixton, sud di Londra, le gang giravano con ferocissimi cani da guardia, terrorizzando il quartiere. I pitbull erano stati messi addirittura fuori legge appunto per i problemi d’ordine pubblico, dunque le gang incrociavano le specie più cattive per selezionare delle bestie tremende. La risposta di Banksy a questa logica di violenza, sempre la stessa: l’arte.

 

 

 

 

* Nel 2009 Banksy ha avuto carta bianca per un intervento nel Bristol City Museum, e con un blitz notturno ha disseminato le sue opere in mezzo alle altre, facendo impazzire i visitatori che son stati obbligati a chiedersi cosa fosse arte, cosa no (NO?), e quindi interrogarsi sulla distanza tra arte, simulazione, azione, pensiero.

 

 

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